Gli atleti disabili non sono eroi

Finiamola con questa stronzata che gli atleti con disabilità sono eroi ancora prima di gareggiare. Perche? Per il semplice fatto di mostrarsi? È questo? Perché hanno il coraggio di mostrarsi al mondo quando la società si aspetta che si vergognino dei propri corpi, nascosti fra le quattro muri di casa propria? NO WAY.

Io non sono un eroe per il semplice fatto di essere quello che sono alla luce del sole.
Non merito ammirazione perché non mi vergogno del giudizio di chi mi guarda.
Non sono coraggioso o straordinario semplicemente perché mi sono messo in gioco.

Ma scherziamo? Lo vogliamo capire che è estremamente svilente sentirsi dare dell’eroe giusto perché secondo qualcuno hai le palle di partecipare?! Se poi ci si mettono pure gli atleti paralimpici con sta menata!

D’altronde mi è stato detto, e a questo punto è da sottoscrivere, che non basta aver successo nello sport per fare di un atleta disabile un’ispirazione o diventare un punto di riferimento. Rimango amareggiato nel leggere certe frasi perché a fare della retorica dannosa è qualcuno che invece mi aspetterei cercasse di combattere la mentalità di svalutazione delle disabilità anziché alimentarla. Le parole di Ambra Sabatini, sicuramente inconsapevolmente, non valorizzano le persone con disabilità, ma dividono i disabili in due categorie, una dalle quali lei si vuole discostare.

Nell’estratto su La Stampa, racconta di un episodio alle paralimpiadi in cui è senza protesi e si accorge che la stanno guardando e lei percepisce degli sguardi impietositi. La sua reazione, rivela, è che avrebbe voluto dire: «Sono un atleta, non un caso umano e non avete idea di quanto correrò forte appena potrò (…) rimettere la protesi». Non sono semplicemente le parole “non sono un caso umano” che stonano, ma il fatto di volersi discostare da un’idea negativa di disabilità che effettivamente esiste, e alla quale non vuole essere associata. È un po’ il gioco di quei gay maschili che non vogliono essere associati all’idea di gay effeminato, meccanismo che rivela omofobia interiorizzata. Si riconosce un’immagine svalutata legata all’omosessualità e anziché combatterla, la si rifugge. Di fatto, rafforzandola.

Non siamo eroi ma c’è chi è bravo a reggere lo sguardo compassionevole altrui. Uno sbattimento quotidiano che dobbiamo farci mentre chi non ha un’evidente disabilità fisica può evitarsi, un lavoro che potrebbe non essere necessario se la società prevedesse la disabilità, se le persone fossero educate alla disabilità. Alcuni sono bravi unicamente a smazzarsi questo onere, che man mano potrebbe diventare sempre più spontaneo, fino a non pesare più. Ma non siamo eroi. Semplicemente ci tocca.

Oh, oppure facciamo così: se sono un eroe io, atleta disabile, ancora prima di scendere in campo allora lo sono tutti, anche gli atleti normoabili, ancora prima di gareggiare. Eroe la Pellegrini per avere il coraggio di mostrarsi in costume. Ha senso? No, non ne ha.

Spero questo post possa arrivare a qualche giornalista sportivo prima che parli di me come di un “eroe”, perché potrebbe finire male. O a qualche atleta paralimpico, che di esempi o pseudo-rappresentanti con abilismo interiorizzato non ne abbiamo bisogno.

✅ C’è un modo giusto per parlare di noi? SI! Parlate di noi per quello che facciamo, non per quello che rappresentiamo per i vostri occhi smaniosi di motivazione. Dai su.

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