Nel 2022 ho mandato un questionario sul livello di accessibilità ed inclusione della disabilità nei Pride italiani agli enti organizzatori comparsi su ondapride.it (una lista dei principali pride italiani). Hanno risposto in 42 su 50.
Settimana dopo settimana nei mesi di giugno e luglio, ho pubblicato sul mio profilo instagram i risultati secondo quanto dichiarato dagli organizzatori. Ho creato una raccolta dei report settimanali, se vuoi farti un idea.
L’obiettivo della ricerca, che è un vero e proprio esperimento di data activism, è dare forma a un problema a cui non siamo abituati a pensare: la mancanza di accessibilità.
Sapevo avrebbe avuto un forte impatto, perché l’accessibilità non è mai una caratteristica che ci viene in mente quando progettiamo qualcosa. Non siamo abituati a pensare accessibile, perché non siamo abituati a prevedere la presenza e la partecipazione delle persone disabili.
Nei mesi prima ero stato invitato a un evento organizzato da UILDM nazionale (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) a parlare dell’intersezione fra disabilità e queerness (”queer” è un termine ombrello per riferirsi a chi non si identifica come eterosessuale, non si riconosce nel genere assegnato alla nascita o trascende le norme binarie di espressione di genere).
Le ricerche per preparare il mio intervento mi portarono a scoprire che le persone disabili e lgbtqia+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans*, queer, intersex, asessuali etc) rischiano di vivere una particolare forma di esclusione causata da disinteresse, ostilità immotivata e mancanza di occasioni d’incontro, vissute proprio all’interno della comunità di cui ci si sente parte.
Volevo mandare un segnale concreto al movimento lgbtqia+ italiano, per portare consapevolezza sulla mancanza di accessibilità, e far capire che serve cambiare qualcosa.
Nell’analizzare le risposte degli enti organizzatori, andando a fare un controllo fra le dichiarazioni, i loro social e i siti, mi è venuto il dubbio che i dati non fossero al 100% corretti e trasparenti.
È seguito quindi un controsondaggio rivolto a persone disabili e neurodivergenti (chi ha un funzionamento neurologico diverso dalla norma statistica – come persone autistiche, dsa, ADHD – e rischia sovraccarico sensoriale o soffre di ansia sociale) per una verifica dei risultati. Hanno risposto in 161.
Indice dei contenuti:
1. L’accessibilità per le disabilità motorie
2. I supporti per chi ha dolori cronici
3. L’accessibilità per chi rischia un sovraccarico sensoriale
4. Quanto è accessibile il momento degli interventi politici?
5. E per chi partecipa da casa?
6. Perché, perché nessuno pensa alla comunicazione?
7. La disabilità è prevista negli interventi pubblici?
Conclusioni
1. L’accessibilità per le disabilità motorie
Quando si parla di accessibilità, emblematiche sono le barriere architettoniche che impediscono o ostacolano l’accesso fisico alla società per chi vive una disabilità motoria e si muove usando una carrozzina o ausili per la deambulazione.
Ma anche solo per chi fatica a camminare. Un discorso che spesso vale anche per persone cieche o ipovedenti, quando si parla di ostacoli al cammino.
Nel nostro caso quello sul luogo totalmente accessibile è il risultato migliore della ricerca, anche se sicuramente sovrastimato sia da parte degli organizzatori (88%) che dai partecipanti (75%) che non vivono una disabilità fisica. Fidatevi.
Se nel 55% dei casi è dichiarato che sono previsti servizi igienici accessibili ad hoc, solo nel 32% sono effettivamente stati avvistati.
Sempre parlando di cessi, è dichiarata la mappatura dei servizi igienici accessibili da parte di 19 organizzatori ma andando a verificare nei post pubblicati dagli stessi, la conferma c’è solo in 4 casi. Una percentuale dell’11%, che sembrerebbe confermata dalle dichiarazione dey partecipanty.
2. I supporti per chi ha dolori cronici
Ammetto potrebbe dipendere dal modo in cui ho posto le domande, ma immagino questo risultato possa essere sovrastimato sia da parte degli enti organizzatori che da chi non vive una disabilita motoria fra i partecipanty.
Ad ogni modo sono stati dichiarati dal 72% degli enti e riscontrato dal 40% dei partecipanti la predisposizione o segnalazione di punti di sosta e di defaticamento necessari per chi, durante la parata, deve rispettare i tempi e le energie del proprio corpo e riposare per recuperare le forze (a causa di patologie, età, condizioni di circostanza come stanchezza o caldo).
Un dato confermato è che nel 60% dei casi c’è stato un servizio di supporto e assistenza, dichiarato dal 67% degli organizzatori (segnalo il caso di Brescia Pride, che ha visto la collaborazione coi City Angels, che hanno aiutato il servizio d’ordine #noadv).
Su 18 dichiarazioni, è stata verificata solo in 4 casi (10%) la presenza di un numero di telefono dedicato per assistenza, ma solo 1 era disponibile in caso di bisogno durante la parata, il che potrebbe rendere molto difficile contattare direttamente il servizio d’ordine per chiedere un aiuto (quando previsto).
Il 17% degli organizzatori ha dichiarato un carro per il riposo a disposizione di chi durante il percorso non fosse riuscito a proseguire nel cammino, confermato nell’8% dei casi.
Un mezzo per il riposo è effettivamente un intervento che potenzialmente richiede un investimento economico importante e un’organizzazione più strutturata (in nessun caso fra le dichiarazioni però è abbinato a un numero telefonico dedicato).
Segnalo come esempio in cui era presente un mezzo per il riposo il Toscana Pride (che si è svolta l’anno scorso a Livorno) e un originale caso di servizio di supporto attuato dal Cremona Pride, in cui su richiesta era possibile chiedere anche lungo la parata di essere forniti di una carrozzina pieghevole trasportata in diretta da un servizio di bici cargo grazie a una partnership costruita ad hoc per l’occasione.
Della serie che a volte, partendo con le giuste tempistiche, con la volontà di trovare una soluzione, si possono ideare delle soluzioni innovative e originali.
3. L’accessibilità per chi rischia un sovraccarico sensoriale
Partiamo da una premessa: che cos’è un sovraccarico sensoriale? Alcune persone provano disagio, fastidio, dolore, rischiano spaesamento o non sarebbero in grado di gestire una situazione caotica dal punto di vista sensoriale.
Forti rumori, schiamazzi, contatto sociale indesiderato, l’imprevedibilità di quello che può accadere, possono scatenare reazioni anche violente di panico o ancora amplificare sensazioni d’ansia e angoscia.
Questa ipersensibilità può essere una di alcune delle caratteristiche che possono portare persone neurodivergenti (autistiche, adhd) a rinunciare a un’esperienza potenzialmente traumatica.
Altre invece riuscirebbero a gestire il sovraccarico semplicemente prendendosi qualche momento di pausa in caso di bisogno, in silenzio, con adeguato distanziamento e controllo su ciò che lo rirconda. Dicesi momento di scarico sensoriale.
In 17 organizzatori dichiarano di aver pensato a punti di scarico sensoriale lungo la parata (45%) ma in pochissimi casi prevedono delle zone più calme all’interno del corteo, in modo tale che chi ne ha bisogno non debba per forza allontanarsi o isolarsi dalle altre. Una soluzione confermata deile dichiarazioni dei partecipanti (40%).
Spesso si indica come zone più calma la testa o la coda del corteo (benvenuto capitan Ovvio ndr), mentre in pochi casi hanno previsto zone di decompressione lungo la parata. Forse perché non tutte le organizzazioni hanno il numero di volontarie necessario per questo genere di interventi.
Segnalo il Bergamo Pride per la loro zona bianca di decompressione, che ha ricevuto diversi commenti di apprezzamento da parte di persone autistiche: una zona lontana da schiamazzi e dai carri con la musica con possibilità di procedere con adeguato distanziamento.
Un’area definita da volontarie che ne delimitavano il perimetro con dei lenzuoli, all’interno della quale si poteva liberamente entrare e stare quanto tempo si voleva.
Sono infine 18 gli organizzatori che dichiarano di distribuire dei tappini antirumore e di dimostrare attenzione nei confronti di persone con queste esigenze (confermate solo nel 23% dei casi).
Certo questa non è una risoluzione perché generalmente per prevenire iperstimolazione sensoriale chi ne ha bisogno porta con sé gli strumenti necessari già in proprio possesso. Ma è qualcosa.
4. Quanto è accessibile il momento degli interventi politici?
Sono il 62% gli enti pride che hanno fornito un servizio di interprete LIS (Lingua Italiana dei Segni) per rendere questo momento fruibile per le persone sorde segnanti, confermato dal 51% dei partecipanti.
Solo in 16 fra le 26 dichiarazioni lo abbinano però a dei posti riservati alle persone disabili (si spera in prima fila, davanti al palco). Nel 55% di chi dichiara di aver pensato a questa soluzione, la conferma arriva dal 34% delle testimonianze.
La metà degli organizzatori dichiara di aver pensato a un palco accessibile, informazione confermata dalle partecipanti ai pride.
Nessuno invece ha pensato a una proiezione dei sottotitoli in tempo reale o a una soluzione che potesse garantire la fruizione dei discorsi pubblici da parte di persone sorde non segnanti (che per comunicare non utilizzano la lingua dei segni).
5. E per chi partecipa da casa?
Se 15 enti (il 35%) dichiarano di aver pensato alla diretta live dell’evento, dopo un rapido controllo sui social degli stessi enti, solo in 6 casi è verificata una registrazione dell’evento in cui è possibile fruire gli interventi politici.
Uno non vuole essere maligno, ma il dubbio che la prima dichiarazione non sia troppo veritiera viene.
Ne risulta una scarsa accessibilità (al 14%) e possibilità di partecipazione per chiunque, disabile o no, non può partecipare all’evento fisico estemporaneo.
A conferma di quanto abbiamo già dimenticato ciò che avevamo imparato durante la pandemia, in cui il bisogno di accedere da casa era una necessità condivisa.
Poter partecipare all’attivismo da piazza si riconferma privilegio di chi non vive una disabilità grave, di chi viene dalle periferie e della provincia.
6. Perché, perché nessuno pensa alla comunicazione?
Tra tutte le sezioni, quella della comunicazione è sicuramente quella su cui cé più margine di miglioramento.
Solo 5 enti fra i 10 che lo dichiarano hanno un sito web accessibile (benché solo uno abbia effettivamente un plugin per persone ipovedenti o dislessiche).
Addirittura solo 4 hanno una sezione accessibilità in cui comunicare tutti gli interventi adottati (oppure non adottati, è importante comunicare anche quello che non si è riusciti a fare, anche così le persone riescono a organizzarsi, piuttosto che essere in balìa del dubbio).
Sono 11, su 20 che lo dichiarano, i comitati che comunicano i servizi di accessibilità sui social (31%). Ho raccolto da qualche parte i post che ho trovato, poi magari capiremo cosa farcene.
Per quanto riguarda l’accessibilità della comunicazione a mezzo social, il 67% dichiara la presenza della descrizione delle immagini.
Mi sorge l’enorme dubbio che chi ha risposto a questa domanda si riferisca alla presenza di una didascalia sotto l’immagine, mentre io mi riferivo al testo alternativo (che serve a dispositivi per descrivere le immagini alle persone cieche).
Temo non scopriremo mai la verità, come quella sull’effettivo uso dei sottotitoli nelle storie e video condivisi sui social (dichiarati nel 26% dei casi, non sempre verificati).
La comunicazione degli interventi di accessibilità è sicuramente il tema su cui è necessario e proficuo fare più attenzione, considerato poi le poche risorse economiche necessarie per questa implementazione.
Detto semplice: è tutta questione di formazione (banalissima) e buone pratiche. Che ha come effetto diretto il comunicare a persone disabili e neurodivergenti di essere state previste. Mica poco.
È fondamentale dare tutte le informazioni necessarie in modo tale da permettere a chiunque di potersi organizzare e di vivere una fruizione serena dell’evento.
Anche comunicare cosa non si è riusciti a fare può essere molto importante. Almeno chi vuole rischiare è consciə a cosa va incontro (e di nuovo, fa capire che nonostante i limiti, la volontà politica e la consapevolezza ci sono).
7. La disabilità è prevista negli interventi pubblici?
Da un punto di vista intersezionale è importante che i temi della disabilità e dell’abilismo (la discriminazione e la svalutazione delle persone con disabilità proprio a causa della loro disabilità) rientrino nel panorama dell’associazionismo mainstream Igbtqia+.
Per decostruire l’abilismo all’interno del contesto queer, ovvero renderlo attraversabile per chiunque in modo che non si viva discriminazione. Soprattutto nel rispetto e nell’inclusione delle persone disabili e neurodivergenti Igbtqia+.
Rispettivamente 28 e 27 organizzatori dichiarano di aver previsto interventi su abilismo e sull’intersezione fra disabilità e comunità lgbtq+. Peccato poi però dalle dichiarazioni sul tipo di interventi non ci sia un effettivo riscontro o mancano le informazioni per comprendere di cosa si parli.
Una decina di enti infatti non specificano la natura dell’intervento o riportano informazioni superflue, dichiarando banalmente che all’interno dell’organizzazione ci sono persone disabili o neurodivergenti. Che è ok, però non risponde alla domanda. (NB: la maggior parte degli organizzatori ha compilato il questionario la settimana stessa in cui si sarebbe svolto il pride).
La stessa cosa si verifica a proposito degli oratori invitati a intervenire: su un totale di 25 risposte, le informazioni che ci permettono di ricostruire interventi strutturati con un tema specifico e una o più ospiti chiari e specifici sono 10.
Altre 10 risposte rivelano la volontà o la programmazione di interventi non strutturati, i cui temi e ospiti non sono specificati oppure risultano vaghi.
Ci sono infine 4-5 risposte ritenute non pertinenti, come la dichiarazione di adesione al pride di associazioni o la presenza all’interno dell’organizzazione di persone disabili e neurodivergenti, le quali informazioni non ci dicono nulla sulla presenza e pertinenza di eventuali interventi.
Per approfondire, c’è un’apposita sezione del report finale di SondaPride dello scorso anno.
Conclusioni
Spero questi risultati e le testimonianze delle persone disabili e neurodivergenti raccolte nel report finale di SondaPride possano spingere a mettere in atto un’inclusione necessaria, spesso ignorata e data per scontato.
Che possa essere da sprone per lavorare sull’accessibilità dei pride dal principio, già dalle fasi di progettazione. Così da rendere il processo stesso per arrivare agli eventi finali accessibile per le persone disabili e neurodivergenti stesse, che potrebbero e vorrebbero partecipare alle varie fasi ma che spesso trovano difficile, frustrante e deleterio riuscire ad adattarsi alle modalità e ai criteri tipici di abilità e capacità.
Più testimonianze infatti provengono da persone che hanno collaborato nell’organizzazione dei pride, che affermano che spesso l’accessibilità venga delegata a loro.
Non si pretende che eventi organizzati da piccole realtà possano avere l’intera gamma di interventi possibili, ma è altrettanto vero che l’accessibilità è un modus operandi, e non una serie di accorgimenti a cui trovare soluzione all’ultimo.
Se rispondere alle esigenze di accessibilità è tanto complicato, è semplicemente perché non è nella nostra cultura pensare in maniera accessibile. Non siamo abituatə a farlo. Così come non siamo abituatə a pensare alla presenza di persone disabili e neurodivergenti.
Per questo è fondamentale iniziare a pensare da subito, in partenza, a eventi pensati per chiunque. E non mi riferisco solo ai pride, ma alle iniziative dell’associazionismo in generale.
Per chi può avere difficoltà a partecipare a causa di un contesto strutturato senza tenere a mente le esigenze di tuttə, ma anche per chi non può partecipare fisicamente. E in questo caso non servono risorse esagerate, ma la volontà politica di includere chiunque.