Poteva andarmi peggio (che nascere disabile)

Poteva andarmi peggio che nascere disabile, dice la campagna. E se “poteva andarmi peggio”, di certo non mi è andata bene. La disabilità è negativa: questo è una delle fallacie comunicative commesse.

Se voleva far sorridere, non ha funzionato. Non per tutti almeno. Cos’è andato storto? Dal momento in cui mi è stata segnalata e ho letto nel nome del promotore “parents”: “genitori di…”. Mi son detto, eccallà. Si parla di disabili (tramite persone disabili) ma chi parla non è disabile. Non è autorappresentazione. Ma poi mi son detto, chissene frega. Perché ammettiamolo, sono battute che potrebbero uscire dalla bocca di qualsiasi disabile. Non è assurdo pensare che sia uno dei protagonisti della campagna ad averle suggerite, ed infatti. Non sono parole problematiche a tutto tondo, ed è per questo che lo scandalo che hanno provocato mi sembra decisamente too much.

Il problema non è tanto la frase incriminata in sè, è il contesto pubblico in cui quelle parole smettono di essere lette con il codice dell’ironia e vengono interpretate in maniera astratta e assoluta, come messaggio a sè. E allora diciamolo:

❌ LA DISABILITÀ NON È INTRINSECAMENTE NEGATIVA.

❌ LA DISABILITÀ NON È UN MEZZO DI PARAGONE DELLE PROBLEMATICITÀ.

L’errore narrativo è proprio paragonare la disabilità in quanto intrinsecamente negativa a qualcosa di intrinsecamente problematico, dal punto di vista sociologico e morale come essere omofobo o razzista.

Un messaggio e una campagna discutibile nella forma. Potenzialmente controproducente negli effetti perché divisiva. Spero la bontà della campagna non abbia effetti negativi sugli esiti, perché sostenere la ricerca è fondamentale.

Da qua però a demonizzare la campagna o la retorica polarizzando il discorso, come è successo da parte di certi attori, ne passa. È semplicemente superficiale, venuta male. Fa inizialmente fare un sorrisino amaro, o non fa ridere per nulla. Ma si capisce che l’intento non è volutamente discriminatorio, non ha alcun senso accanirsi ferocemente come ho visto fare. Nè innescare la solita caccia all’abilismo.

Oltretutto. Nonostante non si possa dire che la disabilità sia intrinsecamente negativa, è contemporaneamente innegabile che una compromissione, soprattutto se grave e degenerativa, non sia desiderabile. E non ci si può scandalizzare che non sia considerata augurabile. Non è certo una caratteristica come un’altra, neutra, come alcuni si ostinano a volerla considerare, confondendone le componenti sociologiche con quelle empiriche e funzionali. Chi lo dice è forse perché ha una disabilità tutto sommato poco invalidante, passabile. Non un eccessivo impedimento a una vita relativamente soddisfacente.

Sono sicuro che ogni disabile ha reagito diversamente al claim della campagna, soprattutto in relazione alla propria disabilità.

Una cosa è certa: che un disabile appaia di propria iniziativa in una campagna a favore della ricerca, o si dica attivista disabile, non è garanzia della bontà della narrazione. Così come non è detto che un disabile che parla di disabilità dica cose corrette o faccia una buona narrazione per il semplice fatto di essere disabile, e ne abbiamo fior fiore di esempi.

 

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