Kimberlé Crenshaw di mezzobusto mentre parla gesticolando, con lo sguardo rivolto verso l’alto. È una donna nera, con pelle non troppo scura, Con corporatura nella media, una pettinatura di treccine raccolte. Indossa una canotta nera è una collana semplice e elegante. Sorride.

Che cos’è l’intersezionalità?

È un approccio alle disuguaglianze nato dallo studio della sovrapposizione delle identità sociali e delle relative discriminazioni.

Un’osservazione sulla natura interconnessa dei sistemi oppressivi, come razzismo, omofobia, abilismo, che non possono essere trattati singolarmente. Ad esempio, se parlassi di sessismo e mi identificassi come donna, dovrei anche tenere a mente dei privilegi che deriverebbero dall’essere una persona bianca e magari eterosessuale e non disabile.

Riflessioni di questa natura presero le mosse separatamente ma simultaneamente in diverse comunità di movimenti per la giustizia sociale come collettivi di femministe nere, lesbiche nere e attivisti disabili nei tardi anni 70 e sviluppati teoricamente da femministe nere come bell hooks e Angela Davis.

Il termine venne però coniato dalla giurista femminista nera Kimberlé Crenshaw all’interno di un suo articolo accademico del 1989 chiamato “Demarginalizzando l’intersezione fra razza e sesso”, sull’oppressione delle donne nere nella società statunitense. Veniva affermato che appartenendo a due categorie marginalizzate, esse subivano o rischiavano di subire una forma particolare, maggiorata e interconnessa di discriminazione e venivano invisibilizzate anche all’interno del loro contesto di lotta per i diritti umani, quello femminista e antirazzista. Nello specifico, nel contesto femminista venivano messe in secondo piano in quanto nere e in quello della lotta per la liberazione nera venivano invisibilizzate in quanto donne.

1. Potere ai sottogruppi subordinati

Ne deriva che all’interno dei rispettivi movimenti+ serve fare particolare attenzione, destrutturare la marginalizzazione e gli elementi che non vivono una forma di oppressione aggiuntiva, quindi i più privilegiati, devono compiere azioni concrete per includere i componenti più subordinati. L’obiettivo dello sguardo intersezionale è di facilitare l’inclusione dei gruppi marginalizzati, per cui si può dire: “Quando entrano loro, entriamo tutti”.

Oggi l’intersezionalità è il denominatore comune della lotta femminista di quarta ondata: non si può portare avanti la lotta per l’uguaglianza di genere senza tener conto dei sottogruppi discriminati.

2. La discriminazione è multidimensionale

Questo quadro può essere utilizzato per comprendere in che modo l’ingiustizia sistematica e la disuguaglianza sociale avvengono a partire da una base multidimensionale.

Le varie categorie biologiche, sociali e culturali come genere, etnia, classe sociale, disabilità, orientamento sessuale, religione, età, nazionalità e altri assi identitari interagiscano a vari livelli, spesso simultanei e non possono essere considerati singolarmente.

Ne deriva che non esiste alcuna esperienza singolare propria di un’identità e che ogni forma di oppressione può essere combattuta in modo efficace solo considerando la persona nella sua interezza.

Attraverso l’intersezionalità si può affermare che le forme d’oppressione e tutti i pregiudizi basati sull’intolleranza non agiscono in modo indipendente, ma sono interconnesse e creano un sistema di oppressione che rispecchia l’intersezione di molteplici forme di discriminazione, a seconda del contesto.

3. La lotte di giustizia sociale devono essere trasversali

Il grande potere dell’intersezionalità è quello di espandere i contesti di giustizia sociale, arrivando a suggerire che la lotta alle differenti forme di discriminazione vada condotta in modo trasversale.

Aggiungendo all’unione delle forze dei movimenti di antidiscriminazione e alla solidarietà tra diverse categorie oppresse, una visione più chiara del privilegio che deve portare a produrre politiche e interventi più adeguati ed equi.

Per dare un esempio di applicazione, il manifesto italiano di Non una di meno afferma che «Il femminismo intersezionale è una prospettiva politica che abbraccia molteplici lotte contro tutte le oppressioni possibili, senza imporre una gerarchia fra di loro, ma rivendicando le specificità di ciascuna» a cui è importante aggiungere che occorre recuperare l’idea della prevalenza di alcuni domini di potere su altri.

4. L’oppressione ha una matrice comune

Oggi l’analisi è potenzialmente applicabile a tutte le categorie, compresi gli status generalmente considerati dominanti.

Così come si possono intersecare più discriminazioni, allo stesso modo si intersecano anche più privilegi. Le discriminazioni provengono dalla stessa matrice: da un sistema di oppressione capitalista patriarcale che fonda il suo potere sulla marginalizzazione degli opposti gruppi sociali. Per astrazione quindi, si riconosce come fulcro detentore del potere, ottenuto attraverso i secoli di norme sociali costruite attorno a lui, l’uomo bianco, cisgender, eterosessuale, benestante, con un corpo e una mente normo-abile e performante.

Questo non serve a dividere rigidamente le categorie in oppressi e oppressori, ma a indicare dove sta la responsabilità quando si parla di attuazione delle politiche di inclusione – e viceversa -, e quindi verso cosa indirizzare le istanze di giustizia sociale per riequilibrare il potere.

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