Di attivismo, polarizzazione e caccia all’abilismo

Avrete sentito parlare della campagna di Parent Project aps di cui ho parlato anche nell’ultimo post, quella che ha usato il claim ”poteva andarmi peggio” che nascere disabile. C’è chi ha parlato di copy divisivo. Un messaggio che si può prestare a diverse interpretazioni, per l’implicita fraintendibilità dell’ironia e per l’accostamento a fallacie comunicative, e che si può leggere in diversi modi in base alle diverse sensibilità.

È vero, il contesto pubblico implica chiarezza perché la comunicazione ha il potere di influenzare la cultura, e tutti possiamo trovarci d’accordo che la campagna ha delle pecche. Ma non è altrettanto vero che questa attenzione si dovrebbe riservare a maggior ragione alla modalità della comunicazione della divulgazione sui social e alla responsabilità che ne deriva?

Siamo proprio sicuri che questo modo radicale e divisivo di fare attivismo non sia quantomeno controproducente? L’abilismo è diffuso e radicalizzato nella nostra cultura, è difficile individuarlo, ma per disinnescarlo serve prima di tutto comprenderlo, spiegarlo. Che non vuol dire puntare il dito e urlare “quello è sbagliato!”, metodo che crea tensione e divisione, ma prendersi il tempo per partecipare a un dialogo, analizzare e spiegare, creare dibattito.

Perché nessuno ha coinvolto la voce narrante? Semplice: perché l’obiettivo non è il confronto. Niente commenti nel post della campagna da parte delle principali attivisti che hanno parlato del tema (ma potrei essermeli persi). A dire il vero non ci si è nemmeno presi la briga di leggere la caption del post, i commenti dei protagonisti, altrimenti si sarebbero evitate grossolane inesattezze.

Questo attivismo polarizzato e polarizzante è utile solo a far crescere i numeri. Sfrutta sapientemente i meccanismi di Instagram, che premia la condivisibilità e questo genere di toni radicali e indignati. È utile a raccogliere persone pronte a prendere posizione, spinte dalla pancia e dall’indignazione, che vogliono fare qualcosa. Possiamo riflettere responsabilmente sugli effetti di questo attivismo nevrotico? Perché non crea punti di incontro, crea divisione. E non ne abbiamo bisogno.

Una buona divulgazione dovrebbe sviluppare consapevolezza, aiutare il confronto, grazie alla comprensione di tutti i punti di vista. Dare delle soluzioni. Questa modalità è utile a ergersi come punto di riferimento. Ma non ci può essere un’unica voce, così come non c’è un unico modo di parlarne e di vivere le disabilità.

Visto che è stata usata, chiudo con una citazione del finale dello stesso show di Hannah Gadsby, in cui dice “la rabbia può unire degli estranei come nessun’altra cosa al mondo e non ho il diritto di seminare rabbia negli altri” perché “la libertà di pensiero è una responsabilità e la rabbia non è mai costruttiva.”

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